Data

Date:
26-11-2002
Country:
Italy
Number:
3095
Court:
Tribunale di Rimini
Parties:
Al Palazzo S.r.l. vs Bernardaud s.a.

Keywords

UNIFORM INTERPRETATION AND APPLICATION OF CISG (ART. 7(1) CISG)- RELEVANCE OF INTERNATIONAL CASE LAW - IMPORTANCE OF DATABASES SUCH AS UNILEX

LACK OF CONFORMITY OF GOODS - TIME OF NOTICE (ART. 39(1) CISG) -REASONABLENESS DEPENDS ON CIRCUMSTANCES OF CASE AND NATURE OF GOODS - NOTICE GIVEN AFTER SIX MONTHS AFTER DELIVERY IN ANY CASE NOT TIMELY

BURDEN OF PROOF - MATTER GOVERNED BUT NOT EXPRESSLY SETTLED BY CISG (ART. 7(2) CISG) - RECOURSE TO GENERAL PRINCIPLE UNDERLYING CISG - PRINCIPLE THAT A PARTY MUST PROVE THE ASSERTIONS IT MAKES ONE OF THE GENERAL PRINCIPLES UBDERLYING CISG

Abstract

An Italian restaurant purchased porcelain tableware from a French manufacturer. The parties agreed that the price would be paid in two instalments, the first at the moment of the conclusion of the contract and the second within ninety days after delivery of the goods. A few days after delivery the buyer unpacked the goods and discovered that many of the items were defective.

According to the buyer it immediately informed a sales person of the seller who promised to have the defective goods replaced but in fact the goods were never replaced. Consequently the buyer, who had already paid the first instalment, refused to pay the second instalment.

The seller claimed that it was entitled also to the full price as the buyer had not given timely notice of the defects: in fact the buyer had only given notice in a letter sent six months after delivery.

The seller obtained from the Tribunale di Rimini an injunction for payment of the second instalment, which the buyer challenged before the same Court.

In deciding the case the Court first of all stated that the contract was governed by CISG as the two parties were situated in Contracting States. Also the substantive requirements for the application of the Convention were met, i.e. that the contract was a sales contract of an international character and the parties had not excluded the application of the Convention.

With respect to the merits of the case the Court confirmed the seller’s right to be paid the full amount. Indeed the Court found that the buyer had not given notice of the defects of the goods within a reasonable time as required by Article 39(1) CISG. It is true that the “reasonable time” for notice depends on the circumstances of each case and on the nature of the goods, but in the case at hand the Court held that a notice given six months after delivery was clearly not timely. As to the buyer’s assertion that it had given oral notice to a salesperson of the seller immediately after the discovery of the defects, the Court held that the buyer had failed to produce the necessary evidence of such oral notice. While admitting that the question of the burden of proof is not expressly settled in CISG, the Court stated that the principle according to which it is up to the party asserting certain facts to prove them (“onus probandi incumbit ei qui dicit”) was one of the general principles underlying the Convention by virtue of which the gap could be filled according to Article 7(2). Other such general principles underlying the Convention where party autonomy, no requirements as to form, applicability of usages generally known and regularly observed, prohibition of venire contra factum proprium, duty to mitigate harm, full compensation of losses, limitation of damages to foreseeable losses, effectiveness of notices given after the conclusion of the contract as from the time of dispatch.

The Court relied for each issue on a number of decisions on CISG already rendered by foreign courts and arbitral tribunals. In so doing the Court declared that, though precedents in international case law cannot be considered legally binding, they have to be taken into account by judges and arbitrators in order to promote uniformity in the interpretation and application of CISG (Art. 7(1) CISG). In this respect the Court stressed the importance of existing databases and of specialised law journals as a tool for the dissemination of international case law and made an express reference to the UNILEX Database on the Internet.

Fulltext

IL TRIBUNALE DI RIMINI

Sentenza

Al Palazzo S.r.l. c. Bernardaud s.a.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente e tempestivamente notificato, Al Palazzo s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1015/00, emesso dal Tribunale di Rimini il 22.9.2000 in favore della società anonima Bernardaud di Limoges, per l’importo di 39.833 franchi francesi ovvero del controvalore in lire italiane al 1°.1.1999, con relativi accessori.
Il credito esposto in monitorio emergeva quale residuo corrispettivo di un contratto di vendita mobiliare, avente ad oggetto porcellane destinate all’attività di ristorazione esercitata dall’attrice.
Dolendosi dell’ingiunzione, Al Palazzo premetteva che il corrispettivo del contratto doveva esser versato in due rate, delle quali la prima (poi regolarmente corrisposta) da versare al momento della stipula, e la seconda, oggetto del ricorso per ingiunzione, da versare entro novanta giorni dalla consegna della merce.
La merce, imballata entro involucri che non la rendevano visibile dall’esterno, era stata consegnata nel dicembre 1999; aperta per l’uso dopo alcuni giorni, era risultata in gran parte affetta da vizi redibitori- quali sbeccature od alterazioni delle decorazioni- che l’opponente assumeva prontamente denunziati ad un rappresentante di Bernardaud.
Quest’ultimo, verificata personalmente la sussistenza dei vizi, aveva assicurato che le porcellane difettose sarebbero state prontamente sostituite; e tuttavia, con successive missive, la stessa venditrice si era dichiarata riluttante alla sostituzione, negando valore alle dichiarazioni del rappresentante ed anzi pretendendo il saldo del prezzo.
L’opponente concludeva pertanto per la revoca del decreto ingiuntivo, previa riduzione del prezzo di vendita in misura corrispondente al valore dei beni non viziati.
Si costituiva in giudizio Bernardaud s.a., chiedendo il rigetto dell’opposizione con argomentazioni che possono così compendiarsi:
in primo luogo, affermava che la consegna della merce era avvenuta il 13.10.1999- come da documenti che produceva- e ad essa non aveva fatto seguito alcun pagamento;
inoltre, negava la circostanza dell’accordo per un pagamento in due rate, in ogni caso evidenziando che la seconda rata doveva comunque esser versata entro il 13.1.2000 (novantesimo giorno dopo la consegna), ovvero non oltre il 31.3.2000 (nell’ipotesi sostenuta da Al Palazzo di una consegna al dicembre 1999), mentre alle date predette nessun pagamento era stato effettuato;
quanto ai vizi, nel rilevare che gli stessi erano stati denunziati solo con lettera del 13.4.2000, osservava che l’uso dell’ordinaria diligenza avrebbe imposto al compratore di aprire gli involucri di imballaggio al momento della consegna, onde esaminare i beni. Deduceva pertanto l’intervenuta decadenza dalla facoltà di denunzia, specificando altresì che l’asserito rappresentante che aveva promesso la sostituzione dei beni era in realtà un mero agente sprovvisto del potere di impegnare direttamente essa società.
Concludeva pertanto per il rigetto dell’opposizione con conferma del decreto ingiuntivo, ovvero, in ogni caso, per la condanna di controparte al pagamento del corrispettivo indicato.

[…]

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente osservato che la presente controversia ha ad oggetto una fornitura di beni effettuata dalla Bernardaud s.a., con sede in Francia, alla società Al Palazzo s.r.l., con sede in Italia; consegue il rilievo secondo cui il rapporto ha indubbio carattere internazionale.
Da ciò deriva la necessità di previa individuazione del diritto sostanziale applicabile.
A prima vista, il diritto applicabile nella fattispecie de qua parrebbe da individuare sulla base delle norme di diritto internazionale privato in materia di vendita internazionale, che in Italia, come affermato anche dalla Suprema Corte in una recente ed autorevole pronuncia (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., 19 giugno 2000, n. 448, in Corr. giur., 2002, 369 ss.), sono le norme previste dalla Convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955- ratificata con l. 4 febbraio 1958, n. 50 ed entrata in vigore il 1° settembre 1964- e non già quelle previste dalla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con l. 18 dicembre 1984, n. 975 ed entrata in vigore il 1° aprile 1991 (in questo senso anche Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, n. 405, in Giur. it., 2001, 281 ss.; Trib. Pavia, 29 dicembre 1999, n. 468, in Corr. giur., 2000, 932 ss.).
Tale statuizione si fonda sulla convinzione che le norme di diritto internazionale privato costituiscano lo strumento più idoneo (ed appositamente creato) per l’individuazione delle norme sostanziali applicabili in casi simili.

2. Osserva tuttavia il Giudice che a tale approccio internazionalprivatistico debba preferirsene uno diverso, che favorisca, ove possibile, l’applicazione di norme di diritto sostanziale. Occorre pertanto– e con riferimento al caso di specie– determinare se sussistano i requisiti di applicabilità della Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili del 1980 (ratificata con l. 11 dicembre 1985, n. 765, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988).
Questa preferenza per la Convenzione delle Nazioni Unite (che è convenzione di diritto materiale uniforme) rispetto alle norme di diritto internazionale privato poste dalla Convenzione dell’Aja (peraltro statuita anche da Trib. Vigevano, 405/2000, cit. e da Trib. Pavia, 468/99, cit.) è anzitutto dovuta al fatto che l’ambito di applicazione internazionale della Convenzione delle Nazioni Unite è speciale rispetto a quello della Convenzione dell’Aja, perché più limitato.
Detta Convenzione, infatti, si applica soltanto ai contratti di vendita la cui internazionalità dipende dalla diversa ubicazione statale della sede d’affari delle parti contraenti, mentre – com’è noto – la Convenzione dell’Aja riguarda ogni tipo di contratto di vendita “internazionale”.
E tuttavia, la specialità – e dunque la prevalenza - della Convenzione delle Nazioni Unite si fonda soprattutto su un giudizio di prevalenza delle norme di diritto materiale uniforme rispetto a quelle di diritto internazionale privato, indipendentemente dalla fonte (nazionale od internazionale) di quest’ultime.
Le prime, infatti, rivestono per definizione carattere di specialità, giacché risolvono il problema sostanziale “direttamente”, ossia evitando il doppio passaggio, consistente nell’individuazione del diritto applicabile prima e quindi nell’applicazione dello stesso, che sempre si rende necessario quando si fa ricorso alla giustizia di diritto internazionale privato (cfr. Trib. Vigevano, ult. cit.).
Va infine segnalato che, secondo una parte della dottrina, il ricorso al diritto materiale uniforme presenterebbe un ulteriore vantaggio rispetto al ricorso alla giustizia di diritto internazionale privato: l’eliminazione del cosiddetto forum shopping, ossia l’attività tendente alla ricerca della giurisdizione più favorevole agli interessi dell’istante; questa, infatti, sarebbe evitata dall’applicazione del medesimo diritto materiale nei vari Stati contraenti.
A tale assunto si è giustamente obiettato che questo vantaggio resterebbe tale solo sul piano teorico, in quanto non mancano ragioni per cui, pur in applicazione di una Convenzione di diritto uniforme, le parti avranno comunque interesse a ricorrere al forum shopping, avvalendosi del sistema processuale nazionale che ritengono a loro più confacente; ciò, invero, con riguardo alle differenze relative al diritto delle prove, alle variabili condizioni di efficienza e rapidità dei procedimenti giudiziari, alla lingua del procedimento, alla reputazione di imparzialità del foro, all’eseguibilità della sentenza invocata, e soprattutto al fatto che nei vari Paesi le Convenzioni vengono interpretate in modo (talvolta anche molto) diverso, con la possibile configurazione di risultati anche opposti sul piano materiale.
E tuttavia osserva il Giudice che tale rischio appare alquanto ridotto con riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, che qui interessa; è noto, infatti, che sussistono ormai numerosi e proficui strumenti che consentono di attenuare le divergenze interpretative: si pensi, in tal senso, all’esistenza di banche dati che pubblicano giurisprudenza internazionale in materia (quale, ad esempio, quella consultabile sul sito www.unilex.info) od alla pubblicazione di riviste giuridiche dedicate (v. ad esempio Internationales Handelsrecht).
Tali strumenti hanno lo scopo- conforme a quanto prescritto dall’art. 7, comma 1° della Convenzione- di rendere uniforme, attraverso il riferimento alla giurisprudenza dei vari Paesi ivi reperibile, l’applicazione e l’interpretazione della Convenzione; e ciò, invero, anche laddove si consideri che il richiamo alla giurisprudenza di altri Paesi o anche di tribunali arbitrali, che i giudici dovrebbero operare, può soltanto avere valore persuasivo e non vincolante (così anche Trib. Vigevano, cit.; Trib. Pavia, cit.; per sentenze che richiamano decisioni straniere si vedano anche: Usinor Industeel v. Leeco Steel Products Inc., visibile sul web al sito: http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/wais/db/cases2/020328u1.html; Recht-bank van Koophandel Hasselt, 6 marzo 2002, su: http://www.law.kuleuven.ac.be/int/tradelaw/WK/2002-03-06s.htm.; Oberster Gerichtshof, 13 aprile 2000, pubblicata sul web al sito: http://www.cisg.at/2_10000w.htm; Cour d’appel Grenoble, 23 ottobre 1996, su: http://witz.jura.uni-sb.de/CISG/decisions/231096v.htm; Trib. Cuneo, 31 gennaio 1996, su: http://www.unilex.info.

3. Ciò premesso, e passando all’esame dei possibili profili di applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite, si osserva che essa richiede la sussistenza di diversi elementi.
3.1 Dal punto di vista materiale, occorre che il contratto sia un contratto di compravendita.
In tal senso, è noto che in mancanza di un’espressa definizione nella Convenzione, la qualificazione di tale fattispecie può envincersi dal disposto degli artt. 30 e 53 della stessa (così anche Tribunal cantonal de Vaud, 11 marzo 1996, n. 01 93 1061, pubblicata su internet all’indirizzo: http://www.unilex.info/case.cfm?pid=1&do=case&id=302&step=FullText).
In base a tale disposto, è contratto di compravendita il contratto in virtù del quale il venditore è obbligato a consegnare i beni, trasferirne la proprietà ed eventualmente rilasciare tutti i documenti relativi ad essi, mentre il compratore è obbligato a pagare il prezzo ed a prendere in consegna i beni.
Nel caso di specie, non può dubitarsi che il contratto de quo sia soggetto alla Convenzione delle Nazioni Unite.
La Convenzione richiede altresì che l’oggetto della compravendita, al momento della consegna (per questo requisito v. Cour d’appel de Grenoble, 26 aprile 1995, su http://witz.jura.uni-sb.de/CISG/decisions/2604952.htm), sia mobile e tangibile, come già sottolineato dalla giurisprudenza italiana (Trib. Pavia, cit.) e straniera (v. OLG Köln, 26 agosto 1994, in Neue Juristische Wochenschrift Rechtsprechungs-Report, 1995, 246).
Appare evidente che il contratto oggetto di lite presenta i requisiti appena menzionati; pertanto, sotto il profilo materiale la Convenzione appare applicabile.
3.2 Ancora, l’applicazione della Convenzione è soggetta al carattere di internazionalità del contratto.
Occorre, in tal senso, che le parti contraenti abbiano, al momento della conclusione, la loro sede d’affari, ossia il luogo dal quale viene svolta un attività commerciale caratterizzata da una certa durata e stabilità nonché da una certa autonomia (per questa definizione vedi anche OLG Stuttgart, 28 febbraio 2000, in Internationales Handelsrecht, 2000, 66), in Stati diversi. Con riferimento al contratto dedotto in giudizio, risulta evidente che il predetto requisito d’internazionalità sussista, avendo il venditore la propria sede d’affari in Francia mentre l’acquirente ha sede in Italia.
Inoltre, si osserva che tale internazionalità era ben conosciuta dalle parti al momento della conclusione del contratto, per cui essa non può considerarsi irrilevante ai sensi dell’art. 1, 2° comma, della Convenzione.
L’internazionalità del contratto non è tuttavia sufficiente a rendere applicabile la Convenzione (in questo senso già Trib. Vigevano, cit.). Occorre, infatti, che i Paesi nei quali le parti hanno la loro sede d’affari siano Stati contraenti della Convenzione al momento della conclusione del contratto (art. 1, 1° comma, lett. a), oppure che le norme di diritto internazionale privato del foro rinviino al diritto di uno Stato contraente (art. 1, 1° comma, lett. b).
Nel caso di specie, si evidenzia che la Convenzione è entrata in vigore sia in Francia che in Italia il 1° gennaio 1988, ben prima della conclusione del contratto.
Essa deve pertanto considerarsi applicabile in virtù dell’art. 1, 1° comma, lett. a.
Si aggiunga che le parti non hanno fatto ricorso alla possibilità di escludere l’applicazione della Convenzione, e ciò ancorché detta facoltà fosse loro spettante ed esercitabile anche in forma tacita, come spesso affermato dalla giurisprudenza italiana e straniera (si vedano, ad esempio, Oberster Gerichtshof, 22 ottobre 2001, pubblicata su internet all’indirizzo: http://www.cisg.at/1_7701g.htm; Cour de Cassation, 26 luglio 2001, su http://witz.jura.uni-sb.de/CISG/decisions/2606012v.htm; Trib. Vigevano, cit.; OLG München, 9 luglio 1997, in International Legal Forum, 1997, 159 s.).
La sinergia di tali considerazioni impone di ritenere che alla fattispecie in esame sia applicabile la Convenzione di Vienna.

4. Ciò posto, occorre verificare la fondatezza della domanda creditoria.
In tal senso, si rileva che l’opponente, senza contestare la sussistenza del titolo azionato ex adverso e la quantificazione del corrispettivo (peraltro risultanti per tabulas), lamenta la consegna di beni difettosi.
A tale eccezione, peraltro contestata nel merito, Bernardaud s.a. contrappone l’intervenuta decadenza per tardività della denuncia relativa.
In tal senso, osserva il Giudice che la disciplina dei cd. vizi di conformità è contenuta negli artt. 35 ss. della Convenzione di Vienna.
In particolare, l’art. 35 prevede che il venditore debba consegnare beni di quantità, qualità e tipo conformi a quelli richiesti dall’acquirente, che siano disposti od imballati conformemente alle previsioni contrattuali.
Pertanto, i beni devono considerarsi difettosi:
- se risultano inidonei all’uso al quale servono abitualmente cose dello stesso tipo;
- ovvero, se risultano inidonei allo specifico uso al quale il compratore intende adibirli, sempreché quest’ultimo sia stato portato a conoscenza del venditore;
- se non possiedono le qualità dei beni che l’acquirente ha presentato al compratore come campione o modello;
- ed infine, se non sono disposti od imballati secondo il modo usuale per beni dello stesso tipo o, in difetto di un modo usuale, in un modo che sia comunque adeguato per conservarli e proteggerli.
Qualora i beni risultino difettosi, per non perdere la relativa garanzia l’acquirente deve denunziare al venditore i difetti, specificandone per quanto possibile la natura, entro un “tempo ragionevole” dal momento in cui li ha scoperti o avrebbe dovuto scoprirli (art. 39, 1° comma); ed il concetto di “ragionevolezza” del termine costituisce, secondo la prevalente opinione, una “clausola generale” (cfr. in tal senso Trib. Vigevano, cit.; Pretura Torino, 30 gennaio 1997, su: http://www.unilex.info/case.cfm?Pid=1&do=case&id=274&step=FullText) e che non può che rimandare ad una valutazione da parte del Giudice di tutte le circostanze della fattispecie concreta (cfr. Trib. Cuneo, 31 gennaio 1996, cit.).
Il momento in cui i vizi dovevano essere scoperti va stabilito in base all’art. 38, ai sensi del quale “il compratore deve esaminare i beni o farli esaminare nel più breve tempo possibile avuto riguardo alle circostanze”.
Diviene così evidente lo stretto legame tra l’art. 39 e l’art. 38 (come evidenziato dalla giurisprudenza straniera; vedi OLG Düsseldorf, 10 febbraio 1994, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1995, 53 ss.), ovvero fra i doveri di ispezione e tempestiva denunzia, sempre gravanti sul compratore.
Tale legame, tuttavia, non fa sì che per poter rendere efficace la garanzia una denuncia debba sempre e comunque essere preceduta da un’ispezione: come sottolineato giustamente in dottrina, infatti, la mancata ispezione non comporta necessariamente la perdita del diritto di fare valere i difetti, purché questi vengano tempestivamente segnalati, ossia prima del decorso del citato “periodo ragionevole” di tempo.
Con riferimento al caso de quo occorre quindi svolgere considerazioni sulla decorrenza di entrambi i termini suddetti, allo scopo di poter decidere se l’attore/acquirente abbia perso il diritto di fare valere la non-conformità della merce compravenduta.
A tal fine rileva – giacché il contratto di compravendita implicava un trasporto dei beni - il dettato dell’art. 38, comma 2°, in virtù del quale l’ispezione della merce compravenduta può (ma non deve) essere differita fino al momento dell’arrivo a destinazione (v. anche Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, in Giur. it., 2001, 280 ss.), e ciò per dare all’acquirente la possibilità di esaminare attentamente la merce.
Giunta a destinazione, tuttavia, la merce deve essere ispezionata nel più breve tempo possibile.
Nel caso concreto la merce risulta giunta a destinazione in data 13 ottobre 1999; infatti, a prescindere dalle diverse allegazioni di parte attrice, risulta versata in atti la bolla di consegna debitamente sottoscritta e recante tale data (cfr. doc. 1 fasc. Bernardaud).
Da quest’ultima data, pertanto, decorre il summenzionato “più breve tempo possibile” il quale – insieme al periodo entro il quale deve essere effettuata la denuncia di non-conformità – compone il “periodo ragionevole” che l’art. 39, comma 1°, fissa a pena di decadenza.
Occorre pertanto individuare quale sia detto termine e se esso sia perento nel caso di specie.
A ciò potrebbero aver provveduto le parti in accordo fra loro; è noto, infatti, che l’art. 39, comma 1°, è norma da esse derogabile (v. Trib. Vigevano, cit.; LG Gießen, 5 luglio 1994, in Neue Juristische Wochenschrift Rechtsprechungs-Report, 1995, 438 s.).
Laddove, però, il termine non sia convenzionalmente fissato, occorre tenere conto delle circostanze della fattispecie concreta (così v. Trib. Vigevano, cit.; Trib. Cuneo, cit.; OLG München, 8 febbraio 1995, su http://www.unilex.info/case.cfm?pid=1&do=case&id =117&step=FullText; OLG Düsseldorf, 10 febbraio 1994, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1995, 53 ss.; OLG Düsseldorf, 12 marzo 1993, in Diritto del commercio internazionale, 1997, 723), tenendo presente, fra l’altro, la natura dei beni oggetto della compravendita, come spesso affermato anche dalla giurisprudenza italiana e straniera (v. Trib. Vigevano, ult. cit.; Pretura Torino, 30 gennaio 1997, in Giur. it., 1998, 982 ss.; AG Augsburg, 29 gennaio 1996, pubblicata su: http://www.jura.uni-freiburg.de/ipr1/cisg/urteile/text/ 172.htm).
Ne consegue, ad esempio, che se i beni oggetto della compravendita sono beni deperibili, il tempo ragionevole entro il quale la denuncia deve essere effettuata è in generale più breve di quello entro il quale deve essere fatta la denuncia del difetto di conformità di beni non deperibili (sul punto v. OLG Saarbrücken, 3 giugno 1998, in Transportrecht-Internationales Handelsrecht, 1999, 41 s.; Rechtbank Zwolle, 5 marzo 1997, in Nederlands Internationaal Privaatrecht, 1997, no. 230; AG Kehl, 6 ottobre 1995, in Neue Juristische Wochenschrift Rechtsprechungs-Report, 1996, 565 s.); lo stesso può dirsi con riferimento alla denuncia relativa a beni da utilizzare soltanto in una determinata stagione (Oberster Gerichtshof, 27 agosto 1999, in Österreichische Zeitschrift für Rechtsvergleichung, 2000, 31 s).
Nel determinare se una denuncia è tempestiva, inoltre, si deve (ex art. 9 della Convenzione delle Nazioni Unite) tenere conto degli usi (v. Rechtbank Zwolle, 5 marzo 1997, in Nederlands Internationaal Privaatrecht, 1997, no. 230; Rechtbank van Koophandel Kortrijk, 16 dicembre 1996, pubblicata su internet al seguente indirizzo: http://www.law.kuleuven.ac.be/int/tradelaw/WK/1996-12-16.htm), nonché delle pratiche instauratesi tra le parti (v. Corte arbitrale della Camera di Commercio e dell’Industria ungherese, lodo arbitrale VB/94131 del 5 dicembre 1995, pubblicato su internet al seguente indirizzo: http://www.jura.uni-freiburg.de/ipr1/cisg/urteile/text/163.htm).
Ciò posto, e con riferimento al caso in esame, rilevata l’assenza di un termine convenzionale, occorrerà argomentare in base al disposto degli artt. 38 e 39, comma 1°, osservando altresì che i beni in questione non sono deperibili e che, quindi, il concetto di tempo ragionevole non deve essere considerato in modo eccessivamente restrittivo.
Ed invero, l’istruttoria condotta in corso di causa ha dato prova certa di una denunzia solo attraverso la lettera prodotta dall’attrice come doc. 1, datata 13 aprile 2000.
Nessuna diversa indicazione è emersa dai testi escussi, dei quali nessuno ha dichiarato di aver assistito a precedenti telefonate (circostanza narrata dal solo teste Simone Semprini, dipendente dell’attrice, come “riferitagli dai titolari”); gli stessi, peraltro, hanno affermato che l’apertura degli imballaggi avvenne a metà dicembre (cfr. in particolare il teste Cosma Damiano De Bartolo) e che in tale momento emersero i vizi, dei quali fu reso edotto l’agente di Bernardaud che si presentò di persona “circa un mese dopo” (teste De Bartolo) o “forse due o tre mesi dopo” (teste Tiziano Rossetti).
Risulta pertanto provata una denunzia con data successiva di sei mesi alla consegna dei beni compravenduti.
Ed invero, non pare che il decorso di un tale termine possa considerarsi tempestivo.
Ciò si osserva in primis sul rilievo dell’esigibilità, in capo all’acquirente, di un previo esame a campione dei beni compravenduti, che secondo la costante giurisprudenza costituisce comportamento diligente (v. ad esempio Thüringer Oberlandesgericht, 26 maggio 1998, in Transportrecht-Internationales Handelsrecht, 2000, 25 ss.; Obergericht Kanton Luzern, 8 gennaio 1997, in Schweizerische Zeitschrift für internationales und europäisches Recht, 1997, 132 ss.); è infatti dato di ritenere che un esame immediato o sollecito (anziché successivo di due mesi alla consegna) avrebbe verosimilmente permesso di rilevare immediatamente i vizi lamentati.
Va quindi anzitutto rilevata la non diligenza dell’acquirente nell’osservanza del dovere di ispezionare la merce di cui all’art. 38; e da tale rilievo discende il giudizio di irrilevanza dell’escussione del teste Nikolaij Manakoff (sulla quale l’attrice insiste, pur non avendola richiesta in corso di causa), asseritamente intervenuto soltanto dopo la tardiva ispezione.
Inoltre, il termine di sei mesi appare effettivamente troppo esteso, sia sotto il profilo intrinseco, sia con riferimento alla natura dei beni compravenduti ed al loro utilizzo da parte del consegnatario.
Sotto il primo profilo, giova richiamare alcune pronunzie che affermano in ogni caso la tardività di una denuncia fatta quattro mesi dopo la consegna (v. Trib. Vigevano, cit.; OLG München, 11 marzo 1998, in Schweizerische Zeitschrift für internationales und europäisches Recht, 1999, 199 ss.) o nel termine di tre mesi e mezzo (LG Berlin, 16 settembre 1992, su http://www.jura.uni-freiburg.de/ipr1/cisg/urteile/text/49.htm) od anche di due mesi (OLG Düsseldorf, 10 febbraio 1994, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1995, 53 ss.).
Con riferimento, invece, al secondo aspetto, può agevolmente osservarsi che per sua stessa ammissione la ricorrente esercita un’attività di ristorazione nella quale è assai frequente il ricorso all’uso di stoviglie o comunque di merce conforme al tipo compravenduto.
Rispetto a tale uso, evidentemente, il decorso di un termine di sei mesi appare eccessivo.
Tali considerazioni impongono di ritenere tardiva la denunzia dei difetti operata da Al Palazzo, e pertanto di accogliere l’eccezione formulata dall’opposta in tal senso.
Va sottolineato, per completezza di motivazione, che nelle scritture defensionali Al Palazzo ha sostenuto di aver effettuato una denuncia anche nel dicembre 1999.
Si è già detto che tale assunto è rimasto sfornito di prova, in quanto i testi escussi non sono stati in grado di riferire alcuna circostanza oggetto di conoscenza diretta.
Giova a tal proposito ribadire che il principio secondo cui onus probandi incumbit ei qui dicit costituisce uno dei principi generali (oltre a quello della prevalenza dell’autonomia delle parti, della libertà della forma, della vincolatività degli usi generalmente conosciuti e regolarmente osservati, del divieto di venire contra factum proprium, della mitigazione dei danni da parte del danneggiato, della limitazione del danno risarcibile a quello prevedibile, della full compensation, nonché quello secondo cui qualsiasi avviso od altro tipo di comunicazione effettuato o trasmesso dopo la conclusione del contratto produce effetti fin dal momento della sua spedizione) sui quali si basa la Convenzione di Vienna, in conformità dei quali vanno risolte le questioni concernenti materie dalla stessa disciplinate ma non espressamente risolte (art. 7, comma 2°), fra cui rientra l’aspetto inerente all’onere probatorio (in tal senso cfr. Trib. Vigevano, cit.; Trib. Pavia, cit.; Handelsgericht Kanton Zürich, 26 aprile 1995, in Schweizerische Zeitschrift für internationales und europäisches Recht, 1996, 53).
Il mancato assolvimento di tale onere da parte dell’acquirente comporta il rigetto dell’eccezione da questa spiegata.
Va dunque affermata la tardività della denuncia dei vizi di conformità da parte di Al Palazzo s.r.l., con conseguente perdita del diritto di far valere la non-conformità dei beni.
A nulla rilevano, nel caso concreto, i correttivi che i redattori della Convenzione in hanno introdotto allo scopo di rendere meno drastiche le conseguenze della mancanza di una denuncia tempestiva, ossia gli artt. 40 e 44, che permettono al compratore, in determinate ipotesi, di fare valere il difetto di conformità anche in mancanza di un’adeguata denuncia.
Non sussistono, infatti, elementi che consentano di affermare (e sarebbe onere della parte acquirente provarlo) che la società Bernardaud era a conoscenza dei difetti del materiale fornito oppure che non poteva ignorarli (art. 40), come non vi sono elementi di fatto che permettano di sostenere che la tardività della denuncia abbia una ragionevole giustificazione (art. 44).

5. Tale statuizione, di chiara natura assorbente, appare decisiva per la soluzione della controversia (il restante motivo di opposizione, infatti, concernente l’esigibilità del credito, deve intendersi tacitamente rinunziato dall’attrice perché omesso nelle conclusioni).
L’opposizione va pertanto rigettata, ed il decreto confermato con ogni conseguente effetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

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Così deciso in Rimini, il 26.11.2002
Il Giudice
dott. Francesco Cortesi}}

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