Data

Date:
10-01-2006
Country:
Italy
Number:
Court:
Tribunale Padova - Sez. Este
Parties:

Keywords

SALES CONTRACT - BETWEEN AN ITALIAN MANUFACTURER AND AN ENGLISH DISTRIBUTOR

JURISDICTION - EUROPEAN COUNCIL REGULATION NO. 44/2001 ON JURISDICTION AND RECOGNITION AND ENFORCEMENT OF JUDGEMENTS IN CIVIL AND COMMERCIAL MATTERS - JURISDICTION OF COURT FOR PLACE OF PERFORMANCE

NEED FOR AN AUTONOMOUS INTERPRETATION OF REGULATION - RECOURSE TO CISG IN VIEW OF ITS LARGE CONSENSUS WORLDWIDE AND ITS IMPORTANCE AS MODEL FOR OTHER INSTRUMENTS ADOPTED AT EUROPEAN LEVEL

NOTION OF "CONTRACT OF SALE" UNDER THE REGULATION (ART. 1(1)(B)) - DEFINED ACCORDING TO CISG

NOTION OF "PLACE OF DELIVERY" UNDER THE REGULATION (ART. 5 (1)(B)) - RECOURSE TO ART. 31(A) CISG - SOLUTION CONFIRMED BY OTHER "AUTONOMOUS" INTERNATIONAL INSTRUMENTS SUCH AS UNIDROIT PRINCIPLES OF INTERNATIONAL COMMERCIAL CONTRACTS (SEE ART. 6.1.6(1)(B)) AND PRINCIPLES OF EUROPEAN CONTRACT LAW (SEE ART. 7:101(1)(B))

Abstract

An Italian manufacturer and an English distributor concluded a sales contract on approval of two merry-go-rounds made and to be installed by the former in Great Britain. As neither the price was paid nor the goods returned to the manufacturer within the time provided in the contract, the seller brought an action against the buyer before an Italian Court.

The Italian Court declined jurisdiction on the ground of European Council Regulation no. 44/2001 on Jurisdiction and the Recognition and Enforcement of Judgements in Civil and Commercial Matters, which had to be applied in lieu of the 1968 Brussels Convention since the claim had been brought after the Regulation's entry into force and the dispute concerned a “civil or commercial matter” as required by its Art. 1(1).

After recalling that the Regulation, contrary to the Brussels Convention, expressly provides that in the case of a sales contract the place of performance for the purposes of Article 5(1)(b)is the place in a Member State "where the goods were delivered or should have been delivered under the contract", the Court first of all pointed out that the notion of “sales contract”, which has not been defined by the Regulation, has to be interpreted autonomously. For this purpose, in view of its large consensus worldwide and its importance as a model for other instruments adopted at European level such as Directive no. 99/44 on the sale and consumer goods and associated guarantees, the Court decided to make recourse to CISG, according to which a sales contract may be defined as a contract whereby the seller is obliged to deliver the goods, transfer of the property in the goods and possibly to deliver the documents relating to the goods while the buyer is obliged to pay the price and to take delivery of the goods (see Arts. 30, 53 CISG). In the case at hand the contract was definitely to be considered a sales contract. The fact that the seller was also obliged to install the merry-go-rounds at the place of delivery was irrelevant since this latter obligation was not preponderant (Art. 3(2) CISG). Also with respect to the notion of the place of delivery under Art. 5(1)(b) of the Regulation the Court stated that it had to be interpreted "autonomously” and that, unless otherwise agreed between the parties, in cases where the contract involves the carriage of the goods the place of delivery is to be considered the place where the seller hands the goods over to the first carrier for transmission to the buyer. In reaching this conclusion the Court referred first of all to Art. 31(a) CISG, but at the same time it pointed out that "this solution is confirmed by two other equally autonomous, though not binding, instruments such as the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (Art. 6.1.6(1)) and the Principles of European Contract Law (Art. 7:101(1)(b))". In the case at hand, however, since the seller was contractually bound to install the merry-go-rounds upon delivery in Great Britain, it could not be considered to have fulfilled its obligation of delivery by having handed the goods over to the first carrier. Consequently, in the case at hand the place of delivery was not located in Italy but in Great Britain and the Italian courts had therefore no jurisdiction.

Fulltext

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9 agosto 2004, Pessa Luciano, esercente l’impresa individuale denominata Pessa Studio con sede in Montagnana (PD), conveniva in giudizio W.H.S. Saddlers International di Pradelles Lin con sede in Otterbourne, Hampshire (Inghilterra), affermando:
- che in data 23 maggio 2003 aveva concluso con la convenuta un contratto con cui era ad essa concesso di promuovere in via esclusiva la vendita dei prodotti dell’attore;
- che il 14 giugno 2003 la convenuta accettava due forniture di giostre del valore di Euro 12.791,65 e 10.469,68, pattuendo che le macchine sarebbero rimaste in visione per sei mesi, trascorsi i quali sarebbe stato pagato il relativo prezzo oppure restituite al venditore;
- che le giostre venivano consegnate e montate in data 23 giugno 2003 in due diverse località dell’Inghilterra;
- che l’attore aveva inoltre sostenuto le spese di trasporto;
- che trascorso il termine pattuito il prezzo dei beni non è stato pagato e la merce non è stata restituita;
- che l’inadempimento della convenuta era totale;
- che sussisteva la giurisdizione italiana, poiché il contratto era stato concluso in Italia ed il pagamento doveva essere effettuato al domicilio dell’attore.
Pessa Luciano chiedeva pertanto che W.H.S. Saddlers International di Pradelles Lin fosse condannata al pagamento della complessiva somma di Euro 26.452,72, oltre interessi legali dalla scadenza delle fatture al saldo.
La convenuta non si costituiva e all’udienza del 18 maggio 2005 ne veniva dichiarata la contumacia.
Con ordinanza del 25 ottobre 2005, il giudice non ammetteva le prove indicate dall’attore e fissava udienza di precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 16 novembre 2005, erano precisate le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione allo scadere del termine concesso per il deposito della comparsa conclusionale.

MOTIVAZIONE

Si osserva preliminarmente che il contratto datato 23 maggio 2003 non è stato sottoscritto dalla convenuta. E’ vero tuttavia che con lettera 5 febbraio 2004 W.H.S. Saddlers International chiedeva di “rinnovare il contratto di vendita dei prodotti di Pessa Studio… sino al 31.12.2009” (v. doc. n. 2 del fasc. dell’attore). Si può perciò ritenere che il contratto fosse stato effettivamente concluso, almeno in forma orale. Rimane però il dubbio circa il luogo in cui sarebbe avvenuta la perfezione del negozio, giacché l’indicazione “Montagnana-Montanaro” presente in calce al documento non può essere presa in considerazione, in ragione della mancanza di contestuale sottoscrizione del testo contrattuale. E’ possibile che l’accordo sia stato raggiunto telefonicamente oppure che la convenuta, ricevuto il contratto sottoscritto dall’attore presso la propria sede legale, l’abbia accettato dandone comunicazione orale al proponente. Si spiegherebbe così il fatto che l’attore non è in possesso di esemplare firmato da W.H.S. Saddlers International.
A prescindere da ciò, si rileva che l’accordo attribuiva alla parte convenuta la facoltà di promuovere, in condizioni di esclusiva, la vendita dei prodotti di Pessa Studio in Gran Bretagna “rendendosi acquirente diretto o acquistandoli per conto del cliente finale”; l’attore si obbliga fra l’altro a “fornire il materiale venduto e, se richiesto, montarlo nel luogo, entro il tempo e alle condizioni di volta in volta pattuite”. Si trattava quindi di un contratto normativo, che avrebbe dovuto disciplinare successive forniture da eseguirsi in Gran Bretagna, ove la merce sarebbe stata consegnata ed eventualmente installata da Pessa Luciano.
Le due forniture del giugno 2003 sono state per l’appunto eseguite in Inghilterra, come attestano i documenti di trasporto allegati dall’attore. Si tratta di due compravendite di giostre, contenenti una clausola di gradimento, che consentiva al compratore di restituire la merce entro sei mesi dal ricevimento: in mancanza di restituzione, il prezzo doveva essere pagato, a prescindere dal fatto che W.H.S. Saddlers International avesse o no rivenduto le giostre.
Anche le modalità di conclusione di queste compravendite internazionali risultano incerte. La venditrice ha trasmesso la sua proposta per iscritto alla convenuta, inviandola presso la sua sede legale. Non è però dato sapere come W.H.S. Saddlers International abbia accettato l’offerta, non essendo stata prodotta alcuna documentazione in proposito.
E’ comunque verosimile che l’accettazione sia intervenuta, considerato che le giostre sono state consegnate ed installate in due località inglesi (Tamporlay e Durley). Allo scadere del termine semestrale, l’attore ha richiesto il pagamento, senza ottenere risposta.
Questione pregiudiziale è stabilire se sussista la giurisdizione del giudice italiano. Per affrontare il problema, occorre dapprima individuare le norme di diritto internazionale processuale applicabili. Nella specie esse sono le norme poste dal Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (regolamento cosiddetto Bruxelles 1, di seguito: Regolamento), che a partire dalla data di entrata in vigore – ossia dal 1° marzo 2002 – ha sostituito (fatta eccezione per le ipotesi in cui il foro adito sia un foro danese o in cui il convenuto abbia la propria sede d’affari in Danimarca, ma non anche per l’ipotesi in cui l’attore abbia la propria sede d’affari in Danimarca) la Convenzione di Bruxelles del 1968, relativa alla competenza giurisdizionale e alla esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale.
Affinché il Regolamento – obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in Italia come negli altri Stati membri della Comunità Europea (nel limite già ricordato) in base al trattato che istituisce quest’ultima – possa trovare applicazione, debbono coesistere più requisiti, come chiarito anche dalla giurisprudenza straniera (v., ad esempio, OLG Düsseldorf, 30 gennaio 2004, pubblicata alla pagina web ), alla quale occorre fare riferimento (senza che però ad essa possa attribuirsi valore di precedente), al fine di assicurare al Regolamento la piena efficacia, nonché un'applicazione uniforme in tutti gli Stati contraenti: esigenza già sottolineata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con riferimento alla Convenzione di Bruxelles richiamata in precedenza (per tutte, v. sentenza 1° ottobre 2002, causa 167/00, Verein für Konsumenteninformation, punto 35).
Da un punto di vista temporale, è sufficiente che l’azione sia proposta posteriormente all’entrata in vigore del Regolamento, come si evince facilmente dal suo art. 66, 1° comma: condizione di applicabilità (temporale) che nel caso di specie senz’altro sussiste.
Da un punto di vista materiale occorre che la controversia verta su una questione “civile e commerciale” (art. 1, 1° comma, del Regolamento). Quando questo accada non viene precisato dal Regolamento, come non era precisato neppure dalla Convenzione di Bruxelles. Ciò non deve però indurre ad “interpretare i termini di tale disposizione come un semplice rinvio al diritto interno dell'uno o dell'altro degli Stati in questione” (Corte di Giustizia, sentenza 14 novembre 2002, causa 271/00, Gemeente Steenbergen, punto 28); occorre piuttosto interpretare il concetto in modo “autonomo”, come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alla Convenzione di Bruxelles (v. sentenza 15 maggio 2003, 266/01, Préservatrice foncière TIARD SA, punto 20; sentenza 14 novembre 2002, causa 271/00, Gemeente Steenbergen, punto 28; sentenza 21 aprile 1993, causa 172/91, Volker Sonntag, punto 18; sentenza 16 diecembre 1980, causa 814/79, Niederlande, punto 7; sentenza 22 febbraio 1979, C-133/78, Henri Gourdain, punto 3): giurisprudenza alla quale, sulla questione in esame, ci si può senz’altro richiamare, anche allo scopo di “garantire la continuità tra la Convenzione di Bruxelles e il presente Regolamento” (esigenza a cui fa riferimento il considerando 19).
Nel caso in esame, non può esservi dubbio che la disputa rientri tra la “materia civile e commerciale”, avendo l’attore richiesto il pagamento di una somma di denaro che rappresenta il corrispettivo della fornitura di beni mobili da lui professionalmente prodotti. Pertanto, non trattandosi di una delle materie che l’art. 1, 2° comma, del Regolamento esclude dal suo ambito di applicazione, può dirsi che esso risulti applicabile anche dal punto di vista materiale.
Come prima di esso la Convenzione di Bruxelles, anche il Regolamento prevede come criterio fondamentale di competenza il domicilio del convenuto. Infatti, l’art. 2, 1° comma, del Regolamento (come già l’art. 2, 1° comma, della Convenzione di Bruxelles), afferma che “salve le disposizioni del presente Regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro”. Nella specie, non sarebbe il giudice italiano, bensì quello inglese, in quanto alla luce dell’art. 60 del Regolamento – che rinvia a tre criteri alternativi di collegamento (sede statutaria, amministrazione centrale e centro di attività principale), utilizzabili per la determinazione della sede delle persone giuridiche – non si potrebbe asserire che il tribunale adito sia il foro generale del convenuto inglese (per un caso analogo, v. Trib. Rovereto, 28 agosto 2004, pubblicata alla pagina web ).
Ne consegue che la competenza del Tribunale di Padova non potrebbe che fondarsi su uno dei criteri speciali di giurisdizione tassativamente previsti dal Regolamento: dato l’oggetto della controversia, il criterio che verrebbe in considerazione sarebbe quello previsto in “materia contrattuale” dall’art. 5, n. 1, del Regolamento.
La lite verte senz’altro in “materia contrattuale” (concetto anch’esso non meglio precisato dal Regolamento, che necessita di una definizione autonoma, “facendo riferimento al sistema e agli scopi [del Regolamento] al fine di garantirne l'applicazione uniforme in tutti gli Stati”, non potendo essere “interpretato come un rinvio alla qualificazione fornita dal diritto nazionale al rapporto giuridico dedotto dinanzi al giudice nazionale”: così Corte di Giustizia, sentenza 5 febbraio 2004, causa 265/02, Frahuil SA, punto 22). Infatti, conformemente alla giurisprudenza sviluppatasi sulla Convenzione di Bruxelles – che per la ragione di “continuità interpretativa” già ricordata può essere utilizzata per interpretare il Regolamento, quando si tratti di disposizioni che ricalcano le norme della Convenzione di Bruxelles (in questo senso, v. anche Trib. Rovereto, cit.) –, la nozione di “materia contrattuale” deve essere senz’altro intesa come ricomprendente le situazioni in cui esiste “un obbligo giuridico liberamente assunto da una parte nei confronti di un’altra” (Corte di Giustizia, sentenza 20 gennaio 2005, causa 27/02, Petra Engler, punto 51; sentenza 5 febbraio 2004, causa 265/02, Frahuil SA, punto 24; sentenza 17 giugno 1992, causa 26/91, Handte, punto 15): è il caso di specie, avendo W.H.S. Saddlers International liberamente assunto l’obbligazione di corrispondere il prezzo delle giostre ad essa consegnata, qualora non fossero state restituite al fornitore nel termine pattuito.
Si pone quindi la questione se sussista la giurisdizione del giudice italiano in virtù del criterio speciale previsto dall’art. 5, n. 1, del Regolamento.
In materia contrattuale, tanto il Regolamento quanto la Convenzione di Bruxelles consentono all'attore di citare il convenuto, domiciliato nel territorio di uno Stato membro, davanti al giudice di un altro Stato membro, se questo corrisponde con il “giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita”. A differenza però di quanto previsto dalla Convenzione di Bruxelles – che imponeva dapprima l’individuazione analitica dell’obbligazione specificamente dedotta a fondamento della domanda (v., in merito, la giurisprudenza della Corte di Giustizia iniziata con la sentenza 6 ottobre 1976, causa 14/76, De Bloos, punto 9 ss.), e quindi la determinazione per mezzo del diritto internazionale privato dell’ordinamento nazionale applicabile, sulla base del quale poi determinare il locus solutionis di quell’obbligazione (v. la giurisprudenza della Corte di Giustizia a partire dalla sentenza 6 ottobre 1976, causa 12/76, Tessili, punto 13 ss.), almeno quando non era applicabile una convenzione di diritto materiale uniforme a mezzo della quale determinare il luogo di esecuzione dell'obbligazione posta a base della concreta domanda (v. Corte di Giustizia, sentenza 29 giugno 1994, Custom Made Commercial, punto 26 ss.) – il Regolamento non richiede, quantomeno per le tipologie contrattuali maggiormente diffuse a livello internazionale (ossia il contratto di compravendita di beni e quello di prestazione di servizi), che venga innanzitutto “localizzata” l’obbligazione controversa. Difatti, il legislatore comunitario, limitatamente alle ipotesi rientranti nell’ambito dell’art. 5 n. 1 lett. b), ha individuato ex auctoritate quale sia (con riguardo alle due tipologie contrattuali ricordate) il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio, cercando così di superare le critiche che la soluzione prevista dalla Convenzione di Bruxelles aveva suscitato.
Pur facendo salvo un diverso accordo delle parti, con una sorta di fictio legis il legislatore comunitario ha individuato, per quanto riguarda il contratto di compravendita di beni, il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio nel “luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto”. E’ una finzione giuridica perché il criterio vale per qualsiasi obbligazione facente capo al venditore e al compratore, si tratti dunque dell’obbligazione di pagamento del prezzo o dell’obbligazione di consegna dei beni.
Nel caso in esame, è dunque irrilevante che l'obbligazione dedotta in giudizio sia quella di pagamento del prezzo: ciò che conta, affinché si possa affermare la giurisdizione, è da un lato che l’obbligazione abbia fonte in un contratto di compravendita di beni, e dall’altro che il luogo di consegna dei beni non sia situato all’estero.
Al pari di altri concetti già menzionati, anche quello di “compravendita di beni” non è definito dal Regolamento. Anche con riferimento a questo non si potrà ricorrere a definizioni nazionali, non potendosi altrimenti garantire l’applicazione uniforme del Regolamento nei vari Paesi in cui è in vigore. Occorre, quindi, perseguire ancora una volta un’interpretazione “autonoma”. A questo proposito può essere utile, malgrado una pronuncia contraria (v. Trib. Rovereto, cit.), fare ricorso alla Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, in Italia ratificata con l. 11 dicembre 1985, n. 765, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988, e ciò pur non essendo la Convenzione uno strumento di diritto internazionale processuale, come invece il Regolamento, bensì una Convenzione di “solo” diritto materiale (per questa qualifica v., recentemente, McDowell Valley Vineyards, Inc. v. Sabaté USA Inc. et al., U.S. District Court, Northern District of California, 2 novembre 2005, pubblicata alla pagina web ; ma anche Corte di Cassazione, Sez. un., 20 aprile 2004, no. 7503, pubblicata alla pagina web ; Tribunale di Padova, 25 febbraio 2004, in Giurisprudenza italiana, 2004, p. 1403 ss.; HG Zürich, 26 aprile 1995, pubblicata alla pagina web ; Trib. Comm. Buxelles, 5 ottobre 1994, pubblicata in traduzione inglese alla pagina web ). L’attenzione rivolta alla Convenzione delle Nazioni Unite è giustificata, da un lato, dal fatto che il concetto da interpretare (“compravendita di beni”) è sicuramente proprio del diritto materiale e, dall’altro, in considerazione del ruolo preminente assunto a livello internazionale dalla Convenzione e del suo carattere “espansivo”, costituendo un corpo di regole sì autonomo, ma per nulla chiuso in se stesso: non a caso lo stesso legislatore comunitario ha inteso utilizzare la Convenzione quale modello per la Direttiva 99/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 25 maggio 1999, concernente alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.
In base agli artt. 30 e 53 della Convenzione delle Nazioni Unite, può essere definito contratto di compravendita “il negozio in forza del quale il venditore è obbligato a consegnare i beni, trasferirne la proprietà ed eventualmente rilasciare tutti i documenti ad essi relativi, mentre il compratore è obbligato a pagare il prezzo ed a prendere in consegna i beni” (cfr. Trib. Padova, 11 gennaio 2005, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2005, p. 791; Trib. Padova, 25 febbraio 2004, in Giurisprudenza italiana, 2004, p. 1404). La circostanza che nella specie il contratto non preveda solo un dare ma anche un facere (essendo il venditore obbligato a montare le giostre) non esclude la possibilità di qualificarlo come compravendita ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite, in quanto quest’ultima “non si applica [soltanto] ai contratti nei quali la parte preponderante delle obbligazioni della parte che consegna i beni consiste nella consegna di mano d’opera o di altri servizi” (art. 3, 2° comma, della Convenzione delle Nazioni Unite). Nel caso in esame non sussistono elementi che permettano di sostenere che l’attività di montaggio delle giostre fosse preponderante rispetto a quella di produzione. Il valore dei beni appare superiore al costo della loro installazione. Inoltre, nel contratto “quadro” del maggio 2003 il montaggio non era previsto come modalità indefettibile della prestazione di consegna. Se ne deduce il carattere meramente accessorio di tale attività rispetto alle obbligazioni tipiche che discendono dalla compravendita.
L’applicabilità dell’art. 5, n. 1, lett. b) del Regolamento richiede altresì che il contratto di compravendita abbia ad oggetto “beni”: termine che non trova definizione nel Regolamento, e neppure nella Convenzione delle Nazioni Unite. Dottrina e giurisprudenza hanno, tuttavia, avuto occasione di precisare che possono considerarsi tali soltanto le cose mobili e tangibili (così, ad esempio Trib. Padova, 25 febbraio 2004, cit.; Trib. Rimini, 26 novembre 2002, in Giurisprudenza italiana, 2003, p. 903). E’ superfluo dire che le giostre rientrano nella suddetta definizione, anche quando la loro installazione richieda lo stabile ancoraggio al terreno.
In base a quanto sopra detto, non può negarsi che i contratti conclusi da Pessa Luciano con W.H.S. Saddlers International sono di compravendita di beni.
Rimane da chiarire quale fosse il luogo di consegna dei beni. Malgrado l’intento del legislatore comunitario di semplificare il problema (rispetto a come si poneva sotto la vigenza della Convenzione di Bruxelles), non risulta possibile, anche a causa del limitato ambito di applicazione territoriale dell’art. 5 n. 1 lett. b), individuare un unico criterio, che soccorra l’interprete in ogni occasione.
La finzione giuridica, secondo cui il luogo di esecuzione della prestazione coinciderebbe sempre con quello in cui i beni devono essere consegnati, opera unicamente nel caso in cui il luogo di consegna sia “situato in uno Stato membro” (diverso dalla Danimarca). Diversamente, la competenza non potrà affatto valutarsi ricorrendo all’art. 5 n. 1 lett. b): ai sensi delle lett. c) e a) dello stesso articolo dovrà invece farsi ricorso a quel procedimento che a partire dalle ricordate sentenze De Bloos e Tessili della Corte di Giustizia si era imposto sotto la vigenza della Convenzione di Bruxelles (individuazione sia dell’obbligazione specificamente dedotta a fondamento della domanda, sia del diritto nazionale applicabile [in base al diritto internazionale privato], per mezzo del quale poi determinare il locus solutionis dell’obbligazione).
La verifica della competenza giurisdizionale viene complicata soprattutto dal fatto che il Regolamento non definisce il “luogo di consegna”. E’ pertanto necessario stabilire se il Regolamento, quando pone la regola della competenza contrattuale legata al luogo di consegna della merce, intenda introdurre un concetto autonomo di consegna, conforme al significato letterale della parola, ovvero indichi un concetto giuridico suscettibile di diversa interpretazione secondo le leggi nazionali ovvero secondo la Convenzione di diritto materiale uniforme di Vienna (v. per questa problematica anche la sentenza del Trib. Rovereto, cit.).
Ritiene il Tribunale che la soluzione varii a seconda che la consegna sia o no effettivamente avvenuta. In caso affermativo, sarà il luogo dell’effettiva consegna (nel senso di località in cui il compratore accetta la consegna dei beni, liberando il venditore dalla relativa obbligazione) a rappresentare il “luogo di consegna”, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b): si tratta di regola del luogo previsto in contratto. Tuttavia, il luogo dell’effettiva consegna costituisce “luogo di consegna”, ai sensi della citata norma, anche nel caso in cui l’accordo della parti prevedesse una località diversa, ma il compratore ha accettato di ricevere i beni altrove: in questa ipotesi, con l’accettazione dei beni nel diverso luogo, le parti raggiungono un nuovo accordo circa il “luogo di consegna”.
Anche con riferimento al contratto di compravendita di beni da “piazza a piazza” rileva, per stabilire se il giudice abbia giurisdizione, il luogo dell’effettiva consegna. In questa ipotesi ci si deve però domandare se il luogo della consegna sia da considerarsi sempre quello della destinazione finale dei beni (ammesso che i beni giungano effettivamente a destinazione), come suggerito da parte della dottrina e della giurisprudenza (v. Trib. Brescia, 28 dicembre 2004, in Int’l Lis, 2005, p. 132), oppure quello in cui i beni sono stati consegnati al primo trasportatore, come previsto ad esempio dal codice civile all’art. 1510, 2° comma. Nel caso in cui le parti abbiano previsto contrattualmente quale tra questi due luoghi debba essere preso in considerazione, rileverà ovviamente il luogo individuato contrattualmente. In mancanza di accordo delle parti, la soluzione non deve essere rinvenuta nel diritto nazionale applicabile: al quesito occorre piuttosto dare una risposta “autonoma”, svincolata dal diritto nazionale. La risposta non può però evincersi dal Regolamento, che non offre suggerimenti in proposito. E’ invece necessario ricorrere alla disciplina prevista dalla Convenzione delle Nazioni Unite, in quanto rappresenta un insieme di norme che – come già osservato – è stato utilizzato dallo stesso legislatore comunitario come modello normativo, attesa la larga condivisione a livello internazionale e la capacità di suggerire soluzioni interpretative autonome ed uniformi. In base alla Convenzione, in particolare al suo art. 31, “se il venditore non è obbligato a consegnare i beni in un altro luogo determinato”, il venditore adempie il proprio obbligo di consegna “(a) se il contratto di vendita implica il trasporto dei beni, nel rimettere i beni al primo vettore per la trasmissione al compratore”. Giova poi ricordare che questa soluzione trova conferma nelle disposizione di altri due strumenti altrettanto “autonomi” (a differenza, però, della Convenzione delle Nazioni non vincolanti), ossia i Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali (v. l’art. 6.1.6., 1° comma, lett. b)) ed i Principi europei dei contratti (art. 7:101, 1° comma, lett. b)).
Nel caso in cui, invece, la consegna dei beni non sia stata effettuata o la messa a disposizione dei beni sia avvenuta in luogo diverso da quello contrattualmente stabilito ed il compratore non abbia accettato i beni, occorre fare riferimento unicamente al luogo contrattualmente stabilito dalle parti (per mezzo, ad esempio, dell’inserimento di una clausola Incoterm).
In mancanza sia di una consegna effettiva, sia di un luogo di consegna contrattualmente stabilito, cioè quando “non è applicabile la lettera b)”, si deve in virtù della lett. c) dell’art. 5, n. 1, del Regolamento ricorrere al metodo utilizzato sotto la vigenza della Convenzione di Bruxelles per l’individuazione del luogo “in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita”: si dovranno, in altre parole, utilizzare i principi fissati sia dalla sentenza Tessili, che dalla sentenza De Bloos.
Tornando alla controversia tra Pessa Luciano e W.H.S. Saddlers International, si può affermare che il “luogo di consegna” rilevante ex art. 5 n. 1 lett. b) era situato in Inghilterra, e non in Italia. Infatti, la consegna è effettivamente avvenuta in Inghilterra, in conformità con quanto contrattualmente previsto. Ciò si evince altresì dalla circostanza che il venditore si era impegnato a procedere al montaggio delle giostre, facendo sì che la consegna dovesse ritenersi effettuata solo con il compimento di tale attività. In altre parole, il venditore non si liberava della propria obbligazione rimettendo i beni al trasportatore, bensì montando le giostre in Inghilterra nelle località indicate dal compratore, ove dovevano pervenire a cura dell’attore. Pertanto, il “luogo di consegna”, nel caso di specie, non può dirsi ubicato in Italia.
Va quindi dichiarata l'incompetenza giurisdizionale del giudice italiano a conoscere la controversia, a favore della giurisdizione del giudice inglese.
Nulla per le spese, attesa la contumacia della convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Padova, sezione di Este, in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa n. 40346 R.G. del 2004, promossa con atto di citazione notificato il 9 agosto 2004 da Pessa Luciano, esercente l’impresa individuale denominata Pessa Studio con sede in Montagnana (PD) (attore) nei confronti di W.H.S. Saddlers International di Pradelles Lin con sede in Otterbourne, Hampshire (Inghilterra) (convenuta), ogni diversa e contraria istanza, domanda ed eccezione disattesa, così ha deciso:
1) dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano;
2) nulla per le spese.
Este, 10 gennaio 2006
Il giudice
(dott. Alessandro Rizzieri)}}

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